È meglio programmare i contenuti o essere spontanei?
Magari i contenuti che produci in modo spontaneo hanno anche successo, ma con ogni probabilità hanno pochissimo senso, e il senso ti dovrebbe interessare più del successo.
Eccoci con il recap della diretta di oggi. La settimana prossima facciamo un Ask me Anything, e cioè rispondiamo a tutte le domande che ci fate (mandatecele su Instagram, via mail, dove volete). Per non perdere la diretta della settimana prossima imposta il promemoria qui e iscriviti al canale YouTube di Enrica.
Secondo il dizionario la spontaneità è un moto d’animo, un movimento istintivo che si ha in reazione a qualcosa e che si attiva senza pensarci troppo: una risata spontanea, una domanda spontanea.
Quando si parla di spontaneità sui social si dà un’accezione positiva, perché tutti preferiscono una persona spontanea a una costruita, tutti amano la genuinità e mal sopportano le costruzioni – almeno sulla carta. Questo vuol dire che sui social bisogna essere spontanei? No.
Secondo noi se hai una micro azienda e usi i social per raccontarla non dovresti farlo con spontaneità. Dovresti comunicare in modo attento e strategico, non «in reazione a qualcosa» o «senza pensarci troppo». Magari i contenuti che produci in modo spontaneo hanno anche successo, ma con ogni probabilità hanno pochissimo senso, e il senso ti dovrebbe interessare più del successo.
Vediamo un po’ di esempi per spiegarci meglio e per capire quali sono le cose da evitare senza se e senza ma. Sono tutti esempi finti (costruiti da noi per questo post) che sulla carta non hanno nulla di sbagliato: nascono sullo slancio delle emozioni, sull’onda di un momento, e in teoria non c’è nulla di male, tranne che se poi li osservi più attentamente scopri che questi esempi hanno molte cose che non funzionano.
Adrenalina e ondate di creatività
Mettiamo il caso che esci da una riunione tutto preso bene perché si sta avviando un nuovo progetto a cui tieni molto. Scatti una foto e la pubblichi dicendo «ehi, figata, stanno per arrivare notizie grandiose». Cosa c’è di male? In teoria niente, in pratica almeno due cose:
- il momento in cui esci da una riunione importante o il momento in cui ti è appena venuta un’idea (che non sai ancora se partirà) non è il momento giusto per condividere una fotografia e parlare in pubblico di ciò che è appena successo. Scatta la foto, ma poi tirala fuori nel momento del lancio del nuovo progetto (quando non solo avrai la certezza che parte, ma anche una enorme necessità di materiale interessante da condividere);
- è vero che il dietro le quinte va condiviso, ma non c’è nessun valore per chi ti ascolta nel ricevere un post del genere: o dici cosa sta succedendo o dopo un po’ sei noioso. Chi urla in continuazione «al lupo, al lupo!» dopo un po’ viene ignorato.
Un caso simile è quello di chi produce contenuti in reazione alla propria creatività: in periodi particolarmente ispirati pubblicano tanto, in periodi di blocco se ne stanno in silenzio. E di nuovo, in teoria non c’è nulla di male a stare zitti quando non si ha nulla da dire, anzi, è una regola di buon senso.
Il «ma» grosso come una casa è che una comunicazione aziendale non può oscillare sull’onda dei momenti in cui hai voglia oppure no di occupartene. A me capita di alzarmi il giovedì mattina e avere voglia di tutto tranne che di andare in diretta, ma andarci è il mio lavoro, quindi mi preparo e lo faccio al meglio delle mie possibilità.
Di fronte alla necessità di rallentare o fermare la produzione di contenuti si possono prendere due decisioni:
- fare un calendario editoriale che prevede i momenti di pausa, necessari e sacrosanti;
- scrivere o scattare un po’ di più nei momenti di forte ispirazione e programmare i post per avere una comunicazione costante.
Reagire ai feedback
All’inizio dell’anno fai un piano, decidi qual è l’obiettivo della tua comunicazione e di conseguenza stabilisci che cosa pubblicare. Parti con lo svolgimento del tuo piano e a un certo punto il tuo pubblico ti chiede di parlare di temi che non avevi previsto – ad esempio del modo in cui gestisci la tua attività, o più in generale di tematiche legate al fatto che spesso il tuo pubblico è formato dai colleghi più che dai potenziali clienti, specialmente se sei agli inizi.
Sei di fronte a un bivio: assecondare oppure no queste richieste? Se lo fai ottieni più attenzione, ma quanto ti allontani dall’obiettivo che ti interessa raggiungere? Qui puoi fare due cose:
- decidere che non ne parli perché il tuo obiettivo è un altro, e l’obiettivo, si sa, è più importante di qualunque altra cosa: quindi ringrazi per l’offerta ma passi oltre, magari suggerendo altri nomi da seguire;
- decidere di pubblicare una tantum un contenuto (ad esempio un post del blog) in cui rispondi a queste domande fuori tema: lo scrivi oggi e non te ne occuperai più per un po’. Ogni volta che qualcuno ti fa domande del genere lo rimandi a quel post.
Questo vale per qualunque tipo di commento che ti porta fuori traccia e che rischia di farti dimenticare il tuo obiettivo.
Ti dicono che i video sono troppo lunghi? Bene, prendi atto del fatto che secondo alcuni è così (ma quanti, e soprattutto chi? Sono in target?) ma non cambiare nulla prima di aver controllato le statistiche e soprattutto prima di essere risalito al loro obiettivo, al motivo per cui li stai facendo proprio così e non come ti chiedono.
Momenti di sbatti
La spontaneità gioca brutti scherzi nei momenti negativi. Ad esempio quando sei preso male perché qualcosa non è andato come volevi, allora all’ultimo ti inventi uno sconto per il tuo shop o per riempire la classe del tuo corso, che prima costava 99€ e solo per oggi ne costa 9.
Niente contro gli sconti, anzi!, ma gli sconti si fanno secondo un calendario marketing fatto con concentrazione e serenità, non si lanciano in reazione a un momento di bassa, perché noi che siamo dall’altra parte di quella mail che annuncia lo sconto ce ne accorgiamo che stai facendo di tutto per risollevare le sorti di una roba che non funziona e proprio per questo non ci viene voglia di comprare.
L’ultimo esempio è il caso in cui sei infastidito da qualcosa, prendi il telefono e decidi di sfogarti e inevitabilmente sbagli. Può succedere che qualcosa ti infastidisca ma anche questi momenti vanno gestiti in modo coerente con la comunicazione della tua azienda – quindi se sono cose importanti vedrai come trattarle e in quali sedi, se sono fatti minori puoi del tutto ignorarli o trattarli con leggerezza. Non dimenticarti che sei in pubblico per vendere qualcosa: avere un atteggiamento antipatico o polemico non ti aiuta in questo ruolo già di per sé complicato.
Essere veri non vuol dire essere spontanei
Nel dibattito sull’importanza di essere veri e parlare dei propri fallimenti oltre che dei propri successi a un certo punto si è persa la distinzione tra autenticità e spontaneità. Eppure si può essere veri, genuini, autentici pur programmando con anticipo, rispettando un calendario editoriale, avendo a cuore e a mente la propria strategia prima di ogni cosa.
Agire di slancio, rispondere in base all’umore del momento e produrre contenuti di impulso non ha alcun vantaggio se non quello di fare una comunicazione confusa, incoerente, magari di successo, sì, ma senza obiettivo. Una comunicazione spontanea è come un pesce nella boccia: nuota un sacco, ma non va da nessuna parte.
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