Tre cose da sapere prima di fare un sito
Un sito che funziona si può fare senza scrivere una singola riga di codice ma non si può fare senza empatia o idee chiare.
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C’è un fraintendimento che si tramanda da generazioni: che fare un sito sia una cosa esperti di computer, da smanettoni; che per fare un sito serva assoldare uno sviluppatore, un nerd. Non è così, fatemelo dire forte e chiaro. Fare un sito non è una roba da nerd. Anzi, se c’è una cosa che ho imparato nei miei anni da web designer è che bisogna allontanarsi con grazia e velocità dai potenziali clienti che ti interpellano in qualità di «tecnico» o di «informatico».
Per fare un sito servono due cose: empatia e idee chiare. Soldi, se vogliamo aggiungere un terzo elemento. Ma il codice arriva solo dopo, e a dirla tutta un sito che funziona si può fare senza scrivere una singola riga di codice ma non si può fare senza empatia o idee chiare.
Questo post serve a dare indicazioni a chi deve fare (o rifare) un sito: ecco tre cose da sapere prima di fare un sito. È normale iniziare il lavoro con le idee molto confuse, non è possibile chiarirsi su tutto, ma almeno su questi tre temi le idee bisogna averle cristalline.
Una pagina, un obiettivo
Un sito è composto da pagine; una delle prime cose che ti chiede un web designer è: quante pagine ci sono e cosa c’è dentro? Prima di rispondere con un elenco di voci stilato più o meno di fretta chiarisciti le idee sui compiti di quelle pagine. Sì, perché ogni pagina del tuo sito deve avere un compito da svolgere, un obiettivo da raggiungere. L’accento è su «uno»: deve essere uno solo.
Ad esempio prendi la pagina che stai leggendo in questo momento: il suo obiettivo è rendere l’articolo che ospita facile da leggere. È una pagina progettata per levarsi di mezzo, scomparire il più possibile, rimuovere ogni barriera tra i contenuti e i loro lettori.
Questa pagina ha anche alcuni compiti secondari: pulsanti di condivisione, contenuti suggeriti per approfondire, per i non abbonati c’è il form di iscrizione alla mailing list e una call to action che invita ad abbonarsi a Guido. Ma sono funzioni secondarie, appunto. Non prendono il sopravvento e soprattutto non è così importante se queste funzioni restano inespresse e se raggiungono solo di rado il loro obiettivo. Perché, appunto, l’obiettivo è un altro, rendere l’articolo facile da leggere.
Condivido questo ragionamento perché è simile a quello che dovresti fare per il tuo sito: stabilisci un obiettivo (e se vuoi decidi anche dei compiti secondari) per ogni pagina. Scrivilo da qualche parte, non dimenticarlo: avere le idee chiare sull’obiettivo ti aiuterà a misurare l’efficacia di ogni pagina sia in fase di design sia dopo, quando il sito sarà pubblico.
Il web designer ti invia la bozza per la pagina che ospita i post del blog. La domanda non sarà «è carina?» ma «si legge bene?», perché quello è il suo compito. Se sì ottimo, obiettivo raggiunto, si procede con gli altri contenuti. Se no è una pagina inutile, non si può andare online così, va ripensata.
A chi, che cosa, perché, quanto
Ci hanno detto che lo storytelling è importante, che bisogna scegliere parole e foto evocative, che bisogna vendere esperienze. Siamo diventati bravissimi a creare bacheche su Pinterest per spiegare il concept che sta dietro i nostri brand e il mood che ci ispira. Ma ho l’impressione che a forza di guardarci l’ombelico ci siamo dimenticati che prima di tutto bisogna rispondere alle domande elementari:
- A chi si rivolge il sito
- Che cosa vende / racconta / promuove
- Perché ce n’è bisogno
- (e, se quel sito vende qualcosa) Quanto costa
Ad esempio un sito di un’insegnante di yoga può:
- Rivolgersi ai principianti, a chi non ha mai praticato
- Vendere corsi in classe e meditazioni audio
- Perché ci sono tanti corsi di yoga, ma nessuno fa yoga con la musica pop
- 50€ un’ora di lezione, 29€ un mese di meditazioni audio
Questa è l’empatia di cui parlavo. Un sito serve per costruire relazioni – altrimenti sarebbe un diario segreto chiuso in un cassetto. Le relazioni si costruiscono con empatia, cioè con la capacità di mettersi nei panni delle persone con cui vuoi entrare in relazione. Sull’empatia c’è molto da dire (e ci sono mappe utilissime da fare) ma se vogliamo occuparci solo delle basi iniziamo con l’assumere il punto di vista dei nostri visitatori, e facciamolo rispondendo a queste quattro domande: a chi, che cosa, perché, quanto.
Gerarchia in pratica
Rispondere a queste domande non basta, bisogna che le risposte siano facili da trovare ed evidenti anche per un visitatore distratto. Ad esempio se mi occupo di pubblicare guide in pdf ispirate dal sentimento di nostalgia che provo per il territorio in cui sono cresciuti i miei nonni è importante che io sia capace di scorporare questa sequenza di dati per metterla in ordine gerarchico:
- L’informazione più importante di tutte è «guide in pdf»,
- dopo viene l’indicazione sul territorio,
- solo infine il sentimento di nostalgia che lega la mia famiglia a questo progetto.
La gerarchia di informazioni è un concetto che tutti istintivamente conoscono, ma quando viene l’ora di applicarlo a un sito quasi nessuno è in grado di trasformare quell’elenco di cose importanti-meno importanti-trascurabili in elementi che vivono su una pagina.
Vediamo quindi quali sono in pratica i posti dove metterò le informazioni sulle guide:
- «Guide in pdf» lo metto in: home page, tagline, pagina chi sono, eventuali altri posti dove compare la biografia, footer, eventuali sales page. Se apri il sito e vedi una sola cosa, quella cosa deve essere «guide in pdf».
- Il territorio lo metto in: home page, eventuali sales page, pagina chi sono. È importante ma non fondamentale, posso fidarmi che chi cerca questa informazione sia disposto ad approfondire.
- La nostalgia la metto in: pagina chi sono. È un’informazione che riguarda me più che loro e inoltre è un messaggio che posso trasmettere anche con altre scelte (font, immagini, logo).
E naturalmente non dimenticherò di indicare i prezzi ogni volta che parlo di una guida specifica.
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